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Juniores maschili 2010
Considerazioni finali
Rifuggendo le molte, sterili polemiche raccolte durante e dopo le finali di Salerno, alcuni spunti di riflessione.
19/06/2010 - redazione

Da sempre non aderiamo alle polemiche, non dovrebbero far parte della pallanuoto, tantomeno di quella giovanile. Solo una volta, tirati per i capelli, abbiamo preso le parti di chi è stato attaccato ingiustamente ed a sproposito, ma solo per senso di giustizia (ricordate il caso? Si parlava di inadeguatezza dell’impianto di Vigevano....!).
Non riteniamo costruttivo dare visibilità ai fatti scandalistici; noi ci limitiamo a dare notizie, per  nostra natura facciamo numeri.
Per questo motivo, non siamo intenzionati a pubblicare le lettere sui fatti di Salerno, le risposte alle lettere ai fatti di Salerno, le risposte alle risposte alle lettere … e così via.
Relativamente alle finali juniores 2010, cui eravamo presenti, reputiamo più importante analizzare i fatti e tentare di capirne le ragioni.

Innanzitutto l’impianto sportivo: bellissima la piscina intitolata a Simone Vitale, fatta per la pallanuoto ma … d’inverno; non per il troppo caldo, sarebbe banale, ma perché il piano vasca, facilmente accessibile attraverso le molte porte lasciate aperte per combattere il caldo, è stato spesso “invaso” da persone che non facevano parte del gruppo arbitrale, dell’organizzazione o delle squadre in acqua. Abbiamo notato che, nell’ultima giornata (ma non solo), le tribunette create accanto al tavolo della giuria, riservate a FIN o autorità, ospitavano una moltitudine di personaggi che non sembravano far parte né dell’una, né dell’altra categoria. A meno che non basti essere tesserati per rientrare nella categoria FIN: in questo caso sarebbe stato meglio destinare a questi l’intera gradinata riservata al pubblico e viceversa.

In secondo luogo, il regolamento e la sua applicazione. Due o tre i punti che vogliamo affrontare, non di più.
Alla base della nostra analisi, l’Art. 21, relativo alla casistica dei falli da espulsione, con tutti i suoi comma (sono ben 18) tra cui il n°11 (brutalità) che è l’unico per il quale, se non sbagliamo, si prevede la squalifica automatica del colpevole.

Come in ogni altri sport, il regolamento deve essere applicato dal direttore di gara in base al suo giudizio, preso con serenità e coscienza. Già il fatto di dover arbitrare avendo alle spalle un nutrito stuolo di “autorità”, giudicanti e manifestanti, non aiuta a prendere la propria decisione con serenità.
Sempre nelle condizioni al contorno descritte, immaginiamo gravoso, per il direttore di gara, superare il confine di una interpretazione rigorosa della situazione di gioco, quella che determina, oltre all’esclusione per il resto della partita, anche da quella, o quelle, successive. Tutto questo con lo spirito di non impoverire lo spettacolo delle finali, ma per restare nella legalità del gioco. Ottenendo, tuttavia, l’effetto contrario. Non ci sembra che lo spettacolo della recente final four di eurolega a Napoli sia stato impoverito dalla severità dei direttori di gara nel sanzionare con l’esclusione per 20” i giocatori troppo “appiccicati” (leggasi mani addosso) all’avversario sul limite del semicerchio. Tutt’altro!

Anche nelle finali di Salerno un segnale chiaro di fermezza nei confronti dei giocatori, fin dall’inizio, avrebbe probabilmente evitato molte delle scene vergognose cui abbiamo assistito.
Fermezza che, al contrario, è stata adottata nei confronti dei tecnici a bordo vasca. Stride il fatto che alcuni allenatori siano stati sanzionati prima con il cartellino giallo, e quindi con il rosso, per aver proferito parole di protesta (non sappiamo quali, non si capiva nel vociare generale) quando ad alcuni giocatori sia stato permesso di dire, impunemente, cose ben peggiori all’indirizzo degli arbitri (sappiamo quali, il caso ha voluto che fossimo vicini). Sanzioni che hanno certamente impoverito le finali, privando le squadre della guida diretta dalla panchina; ma di questo ci si è curati poco; intanto, salvo delazione, gli stessi, dopo l’espulsione, si accomodavano in tribuna o sul bordo vasca da dove, tramite emissari, facevano comunque pervenire le indicazioni ai propri giocatori (visti e fotografati).

Ancora una considerazione sull’Art. 21; all’inizio della stagione si era parlato di “fair play” in acqua, stigmatizzando il comportamento del giocatore che simulava di aver subito un fallo dall’avversario e stabilendo la “condanna” all’espulsione degli sceneggiatori.
Quanti ne abbiamo visto a Salerno? Troppi.
Palesemente falsi, sulle ripartenze, nel dimostrare di aver subito una trattenuta, palesemente falsi, appena entrati nei 5m, di essere stati affondati per ottenere un rigore, palesemente falsi, nella posizione di centroboa, nel dimostrare, nonostante le braccia basse, di aver subito fallo dal difensore (con le braccia fuori dall’acqua).

L’ultima considerazione, infine, sulle tifoserie. E’ chiaro che, in queste, si annidano i soliti imbecilli, facilmente influenzabili e decisamente provocatori, che non trovando altre soddisfazioni nella vita, hanno l’unico scopo di rovinare uno spettacolo altrimenti splendido.
Se vogliamo far rinascere la pallanuoto, isoliamoli, mettiamo tutta la nostra volontà per neutralizzarli, altrimenti è lecito coltivare il sospetto che facciano parte del gioco ed è impossibile togliere ogni velo sul valore e l’attendibilità del risultato sportivo in acqua.
Come molti, purtroppo a ragione, hanno fatto sulle finali di Salerno.

Resta comunque un grosso interrogativo di fondo: il troppo dilettantismo sta uccidendo, di fatto, la pallanuoto. Dilettantistismo che si racchiude in una pletora di pseudo dirigenti che ignorano la stessa identità dello sport, trascinati dalla fobia del tifo per il figlio o il nipote. La cecità che le società dimostrano, l’immobilismo di una federazione che, per cercare di mantenere equilibri politici, fa finta di non sentire e di non vedere, restano i peggiori nemici della pallanuoto.

Oggi si cerca a tutti i costi di intravedere in questi ragazzini fenomeni che, ahinoi, ricordano solo per il colore della calottina i grandi campioni del passato, ormai merce rara. Dimenticandosi della vera natura dello sport il cui scopo primario è quello di mantenere in efficienza corpo e mente (Sapere-De Agostini).
Non di creare macchine robottizate che devono a tutti i costi vincere, per la gioia e la gloria della propria famiglia.
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