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Intervista con Salvo Scebba
Una chiacchierata a tutto tondo con il direttore sportivo dell'dell’Archigen Pallanuoto Acicastello
17/11/2010 - Giuseppe Bonaccorso *

Sviluppare il confronto di opinioni, promuovere la cultura del dirigente e dare finalmente spazio ai giovani: queste le direttrici principali della via tracciata dal direttore sportivo dell’Archigen Pallanuoto Acicastello, Salvo Scebba, per puntare a migliorare e far crescere il mondo della pallanuoto.
Il dirigente castellese, autore del libro “Basic Waterpolo: dai settori giovanili all’allenamento delle prime squadre”, che ha ottenuto recentemente al concorso in memoria dell’indimenticato “Enzo D’Angelo” un importante riconoscimento da parte del comitato scientifico dell’AITP, parla in questa intervista del contenuto del suo lavoro spiegandone premesse e provocazioni ed illustrando l’obiettivo principale al fine di offrire un contributo al dibattito ed alla discussione. Spazio ovviamente, tra i tanti argomenti, anche ad uno sguardo sul prossimo campionato di A2 maschile, con la fiducia espressa dal direttore sportivo della Pallanuoto Acicastello al lavoro del tecnico Claudio Palumbo e della rosa giallo-azzurra.

- Quanto è importante un concorso di ricerca come quello istituito dall’AITP in ricordo di Enzo D’Angelo per ampliare la ricerca scientifica ed il dibattito tra tecnici ed addetti ai lavori sul mondo della pallanuoto?  
Penso che sia veramente fondamentale in questo momento di ripresa della pallanuoto italiana il confronto di idee, di posizioni e la critica. Questo è quello che in fondo è mancato negli ultimi anni all’interno della Federazione, la possibilità di aprire ad altri settori andando alla ricerca di soluzioni alternative. Il concorso Enzo D’Angelo, il convegno AITP sono occasioni di confronto da cui può nascere qualcosa di positivo. L’argento conquistato dalla nazionale agli Europei non può dirci che va tutto bene, è il segno di un lavoro ben svolto ma non può nascondere il resto. Dobbiamo trovare un sistema pallanuoto che funzioni in tutti i suoi aspetti e bisogna farlo con trasparenza, aprendo alle voci della pallanuoto non esclusivamente a quelle del palazzo.

- “Basic Waterpolo: dai settori giovanili all’allenamento delle prime squadre”: questo il titolo del tuo interessante libro. Quali le premesse e le preziose conclusioni del lavoro?  
Il libro parte dalla provocazione secondo cui se vogliamo diffondere la pallanuoto dobbiamo farci conoscere dalla gente, andando in mezzo alle strade e facendo sì che esistano dei testi su questo sport, è assurdo che nelle librerie non si trovi nulla sull’argomento pallanuoto. In questo senso ringrazio la Società di Stampa Sportiva di Roma che ha creduto in questa idea, assicurando la diffusione del testo nelle librerie. Nel libro ho praticamente percorso una stagione intera insieme ad una squadra, partendo dal reclutamento per arrivare alle fonti bioenergetiche da allenare per le prime squadre. Il libro parla alle società trattando l’aspetto dell’organizzazione societaria, parla ai gestori delle piscine per far vedere quando può essere importante anche dal punto di vista economico organizzare corsi di pallanuoto, parla ai genitori soffermandosi sul ruolo che devono avere nei confronti della società sportiva e parla ai tecnici proponendo loro una ipotesi di lavoro che l’autore stesso invita a criticare al fine di crearne delle altre. Il libro è un punto di partenza non di arrivo, la conclusione è in fondo quella di ripartire dalle provocazioni iniziali, da quello che abbiamo scritto. Non c’è nell’animo dell’autore la pretesa di aver esaurito gli argomenti, al contrario la voglia di stimolarne la discussione.
Ho avuto inoltre la fortuna di presentare alcune idee originali di alcuni tecnici, a partire da Claudio Mistrangelo sul centroboa, di Bruno Cufino con uno studio sull’uomo in meno, di Edoardo Osti con un contributo sulla visione periferica, di Zoltan Fazekas sull’esperienza della scuola ungherese a proposito del tiro in porta, di Daniele Ruffelli sul portiere e di Giuseppe Dato che ha condiviso con me la tesi che la pallanuoto non si deve basare sui trucchi e la lotta libera in acqua ma sulla tecnica individuale e di squadra.

- Secondo la tua opinione, quali sono i giusti metodi da adottare per coinvolgere i giovani?  
Si deve partire dal far innamorare i giovani della pallanuoto, partire dal gioco e creare delle situazioni in cui il ragazzo si senta integrato, protagonista e rispettato. Far sì che la società sportiva appaia come la casa dei sogni, il gruppo in cui crescere bene, aiutati da un tecnico che sia al tempo stesso giudice e compagno, da dirigenti che vedono non nel risultato di una partita ma nella crescita e nella formazione di un atleta il vero traguardo da raggiungere. Il vero obiettivo della società sportiva è quello di mirare alla formazione del futuro cittadino.

- Cosa manca ancora alla pallanuoto per decidere di puntare con decisione, dall’A1 ai campionati minori, sui giovani e sul vivaio?  
Manca essenzialmente la cultura dei dirigenti, è più facile, più breve e si lavora di meno andando sul mercato rispetto alla scelta di produrre gli atleti. Ma questo è un tradimento del principio delle società sportive e degli sport minori, cioè la crescita umana e la valorizzazione dei giovani. In Italia abbiamo sei-sette società che possono mirare a tornei internazionali, le altre devono lavorare sui vivai ed andare solo marginalmente sul mercato. La pallanuoto non è fatta per dirigenti che fanno squadroni con i soldi come se si giocasse a monopoli, in quanto non ci sono rientri e con uno sbilanciamento totale nella voce delle spese rispetto a quella delle entrate si va dritti al fallimento.
In questo senso mi ritrovo e ci ritroviamo perfettamente con i dirigenti dell’Acicastello nel fare una pallanuoto compatibile con le risorse esistenti e collegata all’indispensabile crescita del vivaio.

- Passando all’Archigen Acicastello, siamo vicini alla partenza del torneo di A2, diversi i volti nuovi nella rosa affidata alla gestione tecnica di Claudio Palumbo, come i giovani Cama e Spadafora, gli esperti Avellino e Cacia, con l’inserimento in pianta stabile di alcuni ragazzi provenienti dal settore giovanile, come Aurelio Viscuso, e le conferme di diversi elementi importanti del gruppo storico. Insomma anche quest’anno l’Acicastello si affida al mix di gioventù ed esperienza, quali sono le tue sensazioni?  
Sono ottimista, partiamo con l’obiettivo minimo di ben figurare e di riuscire a giocarcela con tutti. L’Acicastello è pronto, non ha ancora al 100% l’organico disponibile dal momento che lo straniero Nenad Kacar rientrerà con ogni probabilità nella prossima settimana dopo l’infortunio al mignolo della mano destra. Abbiamo fatto dei test dal punto di vista atletico e c’è stata una risposta positiva da parte della squadra, segno che la preparazione fisica effettuata dal tecnico Palumbo di concerto con il preparatore Fabio Rodo sta pagando. Claudio ha lavorato senza risparmio e la squadra l’ha seguito e lo sta seguendo con grande attenzione e dedizione.

- Sei d’accordo con l’opinione di mister Palumbo secondo cui saranno già importanti le prime quattro gare ed in generale il girone d’andata con la possibilità di disputare sette gare su undici in casa?  
So per certo che anche questo campionato ci vorrà vedere disposti a soffrire fino alla fine per cui Claudio vuole bruciare le tappe cercando di partire subito bene e di incamerare più punti possibili al più presto ma sarà necessaria, come sempre, grande disponibilità della squadra al sacrificio e alla sofferenza sperando poi ovviamente di andare in vacanza e di raggiungere l’obiettivo stagionale il prima possibile.

- La maggior parte dei tecnici del girone sud concordano sul fatto che sarà un torneo difficile, reso ancor più equilibrato dalla presenza al via di tutte le dodici squadre, per la prima volta dopo alcuni anni. Che campionato ti aspetti?  
Secondo me il livello si è un po’ abbassato anche in conseguenza del ridimensionamento economico da parte di tutte le società. Credo che l’Acquachiara sia la squadra più forte, per il resto sarà battaglia. In generale comunque il livello non è cresciuto, non c’è più una formazione valida e competitiva come l’Ortigia, la stessa Nuoto Catania si è ulteriormente ringiovanita e non ha fatto giustamente una politica di acquisti a livello nazionale. Vedo dunque un notevole equilibrio, non ci sono senza dubbio squadre cuscinetto ma non mi sembra che il livello sia cresciuto.

- Di cosa ha bisogno il movimento pallanuoto per richiamare maggior pubblico, maggiori sponsor e maggiore attenzione dei media e delle televisioni?  
Vediamo che sono più seguite le partite del settore giovanile per cui è ora di dare largo ai giovani. Dobbiamo far giocare i campanili l’uno contro l’altro, far crescere il movimento intorno alle famiglie, ai parenti, agli amici, a chi giornalmente frequenta le piscine. Il nostro è uno sport da campanili, da rioni, il seguito di pubblico si può ottenerlo se i giovani vanno a giocare ed essere protagonisti con la squadra della propria città o paese. Bisogna radicarsi nei paesi, nelle città, nei quartieri, ce lo dicono le presenze e la partecipazione nelle tribune durante i campionati giovanili rispetto alle gare della prima squadra spesso poco frequentate dal pubblico, anche per l’assenza di grandi campioni. Dobbiamo far ritornare a giocare i campanili tra loro, dar vita a gare in cui il beniamino del luogo, del vivaio sia il protagonista. Per andare in televisione invece ci vuole altro, ma quello è un altro discorso. 

* Ufficio Stampa Archigen Pn Acicastello   

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